Perché un fotografo immobiliare si dedica al rendering 3D?

Personalmente intendo il fine del mio lavoro come la capacità di immortalare lo stato di fatto di un immobile, sia esso in vendita, in affitto o destinato al mercato turistico, sapendo anche trasmettere un’emozione e stimolando l’immaginazione del fruitore affinché riesca a visualizzarsi all’interno di quell’ambiente.

Talvolta le condizioni attuali di un immobile però non favoriscono questo tipo di lavoro. Ci sono case disabitate da tempo, magari da ristrutturare, appartamenti semplicemente vuoti, o anche condomini ancora da costruire.

Come riuscire allora a dare un’idea di quel che sarà? Come emozionare il cliente e far sì che riesca ad immaginare la sua nuova vita in quegli spazi?

Se in alcuni casi è molto utile intervenire con un allestimento di Home Staging (ne ho parlato qui: https://gaiabrunellophoto.com/2021/01/07/home-staging-del-vuoto/ e qui: https://gaiabrunellophoto.com/2020/09/30/prima-valorizza-e-dopo-vendi/ ), in altri può essere più opportuno ricorrere alla grafica 3D e ricostruire virtualmente gli ambienti per poi pubblicare delle vere e proprie fotografie “virtuali”.

In questo modo sarà possibile da un lato riprodurre gli ambienti esattamente come saranno realizzati un futuro più o meno prossimo, dall’altro, grazie allo studio delle inquadrature, alla resa delle profondità di campo e ad un progetto accurato anche del posizionamento degli accessori, arrivare ad un’immagine che abbia la stessa potenza emozionale ed immaginativa della fotografia professionale.

Se vuoi avere un esempio di ciò di cui sto parlando puoi visitare il sito www.stilicone39.com , del quale ho curato interamente i contenuti anche testuali, realizzato per la commercializzazione di nuovi appartamenti a Milano, provenienti dalla conversione e ristrutturazione di una palazzina uffici.

Altri rendering sono inoltre visibili alla nuova pagina di questo sito “rendering”.

Home staging del vuoto

In un precedente articolo “Valorizzare il vuoto” (https://gaiabrunellophoto.com/2020/06/18/valorizzare-il-vuoto/) parlavo delle difficoltà che si possono riscontrare nel fotografare un ambiente non arredato e di come il fotografo può agire per riuscire comunque a raccontare l’architettura.

L’ambiente vuoto però può essere difficile da comprendere non solo in foto ma anche, e forse soprattutto, dal vivo. Tipicamente, gli ambienti possono sembrare più piccoli ed è difficile farsi un’idea di come lo spazio possa essere sfruttato.

È esattamente ciò che succedeva in questo appartamento in zona P.ta Ticinese a Milano: la mansarda, nonostante fosse nuova, estremamente luminosa, servita da due bagni, con balcone a tasca, faticava ad essere apprezzata, anche per via di un’organizzazione degli spazi sicuramente ottimizzata ma un po’ atipica, volta a sfruttarne ogni centimetro quadro ma forse complessa da comprendere per i non addetti ai lavori.

È per questo motivo che lo studio immobiliare incaricato della vendita mi ha interpellato, affinché io riuscissi a comunicare meglio gli spazi grazie all’uso dell’Home Staging. Allestendo gli ambienti con un misto di arredi in cartone e reali, oltre a tessili ed accessori, la casa ha preso vita, passando da asettica opera architettonica ad un vero e proprio spazio pronto ad accogliere.







Per vedere l’intero servizio fotografico realizzato ad Home Staging concluso: https://gaiabrunellophoto.com/portfolio/cielo-ticinese

Chi è il “fotografo immobiliare”? – una video intervista

Se ti stai chiedendo cosa fa un “fotografo immobiliare” come me, in questa intervista rilasciata per Radio News 24, racconto quali sono gli obiettivi del mio lavoro ed in quale modo opero.

Dai una sbirciata al video e se hai ancora domande o dubbi, scrivimi o chiamami!

Prima (valorizza) e dopo (vendi)

Metti un monolocale costruito negli anni ’60.

Metti che sia stato a reddito per lungo tempo, vi si siano avvicendati inquilini differenti e che ognuno di loro vi abbia lasciato qualche elemento d’arredo, creando un insieme eterogeneo e poco armonico di oggetti.

Metti che le finiture siano rimaste quelle dell’epoca di costruzione, un po’ “vintage”, con tutta probabilità da rinnovare.

Metti anche però che abbia dei plus non indifferenti, ad esempio la cucina separata, il posto auto, la fermata della metropolitana appena fuori dal cancello.

Metti che da Agente Immobiliare tu riconosca il valore ed il potenziale dell’appartamento ma ti renda anche conto che, presentato allo stato di fatto, abbia uno scarso appeal sul cliente.

Cosa puoi fare per aumentare l’interesse dei potenziali acquirenti? Come puoi attirare la loro attenzione tramite l’annuncio immobiliare pubblicato? Come puoi riuscire a trasmette loro anche in fase di visita l’aspetto che può assumere?

Sicuramente conosci già la soluzione: si chiama HOME STAGING ed è quello che sono andata a realizzare sull’appartamento di cui ti sto parlando.

NON è una ristrutturazione.

NON è decorazione.

NON alzerà il prezzo dell’immobile.

È una precisa TECNICA DI MARKETING che mira a valorizzare l’esistente e suggerire prospettive di uso e di “gusto” futuri. Applicarla però ridurrà sia i tempi di permanenza sul mercato, sia la forbice di sconto richiesto.

In questo caso in particolare l’idea guida è stata quella di dare “respiro” ad un immobile che per differenti motivi non appariva al massimo del suo potenziale, unificando lo stile degli arredi, organizzando diversamente lo spazio, illuminando l’atmosfera con i giusti colori, trasmettendo un’idea di piacevolezza, armonia e relax già al primo sguardo. Perché è nei primi 90 secondi della visita che scatta o meno “la scintilla” ed è quindi fondamentale creare un “effetto wow”.

Ora ti lascio delle foto che comparano il “prima” e il “dopo” dell’intervento. Se le vedessi pubblicate, per quale immobile chiameresti?

(vedi tutte le fotografie del “dopo” a questo link: https://gaiabrunellophoto.com/portfolio/maple-suite/)

Case ribelli.

Ci sono case dalla personalità forte, che ancor prima di riflettere quello dei proprietari, esprimono un loro personale carattere.

Sono case sorprendenti, che ad ogni angolo, ad ogni scorcio, aprono scenari fantastici.

Sono case che non puoi neutralizzare.

Sono case che non puoi depersonalizzare.

Sono case che non puoi nemmeno svuotare.

Sono case che, se ti intestardisci ad applicare gli abituali paradigmi dell’home staging, finisci con l’ottenere un risultato sforzato e poco credibile.

Sono case per cui ci vuole rispetto, comprensione e che vanno lasciate esprimere liberamente.

Sono case che infrangono ogni regola, con le quali bisogna sussurrare.

Sono case che hanno comunque bisogno del tuo occhio, del tuo gusto, delle tue mani sapienti. Sì, ma ti devi muovere in punta di piedi.

Sono case che richiedono delicatezza, eleganza ed un solo bacio. Sulla fronte.

Sono case sospese nel tempo e nello spazio, alle porte del sogno, in una bolla.

Con loro basta un po’ di polvere magica, conoscono già da sole la loro via, sanno quello che le aspetta e non si tirano indietro mai.

NB: questa riflessione è direttamente ispirata ad una villa di recente fotografata. Puoi trovarla qui: https://gaiabrunellophoto.com/portfolio/villa-di-carattere/

Il gioco dell’aggettivo.

Di una cosa sono convinta: il mio lavoro non può e non deve diventare routine.

Non posso permettermi di pensare che un servizio fotografico sia come un altro, tanto meno di agire “in serie”, replicando le medesime azioni automatizzate per tutti gli immobili che mi affidano.

Ogni casa è unica: proprio come le persone ha un suo carattere, un proprio temperamento. È compito mio come fotografa di comprenderlo e comunicarlo. Per quanto strano possa sembrare, devo entrare in empatia con l’appartamento, ascoltarlo, capirlo, restituirlo nella sua veste migliore.

Contrariamente, sarebbe come fingere di ascoltare la persona che mi sta parlando, dimenticarne il nome dopo due secondi dalla presentazione.

Prima di montare l’attrezzatura chiedo sempre a chi mi accompagna – i proprietari, piuttosto che l’agente immobiliare, l’host o il property manager – di mostrarmi l’abitazione. Questo è il momento più importante di tutti, perché è il momento in cui “le case mi parlano”. Alle volte infatti bisogna andare un po’ oltre a quel che semplicemente si vede, bisogna “tendere le antenne”, leggere tra le righe, intuire quel che un altro abitante, una personalità diversa, potrebbero far emergere.

Le immagini che andrò a creare, ancor di più se mi viene chiesto un video, devono seguire un fil rouge, raccontare una storia, avere una caratteristica comune tra loro.

Spesso mi aiuto con un giochino: all’inizio del servizio, dopo aver visto l’immobile, cerco una parola, un aggettivo o una suggestione che lo caratterizzi. Poi uso questa parola come vade mecum: nel definire il taglio di un’inquadratura, nello scegliere il dettaglio su cui focalizzare l’attenzione, nel selezionare la musica adatta ad accompagnare il video tour, ricerco quell’aggettivo, quella sensazione, quell’ispirazione.

Solo quando ogni strumento richiamerà quell’idea, quando ogni elemento sarà coerente ed armonico con gli altri, allora e solo allora il progetto di comunicazione potrà dirsi per me soddisfacente…e no, evidentemente non può essere standardizzato.

nb. foto e video si riferiscono ad un appartamento recentemente fotografato a Cassano D’Adda (MI) . Indovinate qual era l’aggettivo?

Valorizzare il vuoto

Non è una richiesta che mi fanno spesso, ma capita di trovarsi a fotografare ambienti vuoti.

Erroneamente si può pensare sia una cosa semplice e veloce. Al contrario, fotografare un appartamento vuoto è sempre una nuova sfida contro la banalità.

Se l’immobile è già stato abitato, il rischio è che appaia abbandonato e mal assortito (pareti di colori diverse senza un motivo apparente, sagome fantasma dei mobili ecc.). Se al contrario è nuovo, può verificarsi l’effetto “white box”: una sequenza di fotografie “pavimento-2paretibianche-finestra” tra le quali risulta persino difficile distinguere il soggiorno dalle camere e che certamente non è di alcun aiuto nel comprendere come gli interni siano organizzati.

Valorizzare il vuoto significa per me far parlare l’architettura, seguirne le pieghe, trovare gli scorci per raccontare una storia che non è ancora stata scritta.

Di recente sono stata chiamata a questo compito. Mi sono chiesta innanzitutto: “cosa voglio raccontare di questo luogo ancora vergine?” La risposta non è mai scontata, ogni immobile per quanto vuoto, nuovo ed impersonale è unico. E trovarne la peculiarità è compito del fotografo, che deve renderla visibile anche agli occhi meno esperti. È così che mi sono trovata a seguire la piega di un tavolato storto e a costruire su quello degli scorci.

Non solo. Basta poco per creare un’atmosfera più accogliente agli occhi dell’utente ed evitare l’impressione di una stanza asettica: un tocco di verde, un po’ d’acqua che si muove fanno entrare un segno di vita in un luogo ancora “vergine”.

Come sempre, i sensi del fotografo devono essere all’erta, sfoderare tutta la propria sensibilità, entrare in empatia con l’ambiente – per quanto possa parere paradossale. In una parola, dobbiamo lasciare che le case ci parlino.

Per vedere le immagini più significative di questo progetto, clicca qui

La mia fragilità è la mia forza

Posso essere sincera? Provo invidia per i miei colleghi.

I colleghi che producono immagini perfette, utilizzano tecniche all’avanguardia, hanno attrezzature di prima qualità. Vorrei anch’io padroneggiare la materia con le loro conoscenze e capacità.

La verità è che non sono una fotografa, non ho frequentato la scuola di fotografia, non sono laureata in belle arti.

Ho una formazione da Interior Designer, da neolaureata sono subito entrata in una società immobiliare e ci sono rimasta 12 anni. Ho iniziato occupandomi di front e back office, solo poi è arrivata la fotografia. È arrivata in modo fortuito, come soluzione ad un problema impellente: chi farà le foto agli immobili ora?

Certo, di fotografia ero appassionata, possedevo le basi, e possedevo soprattutto la curiosità di sperimentare ed evolvere uno strumento allora poco considerato, visto che prima dell’avvento di internet e dei portali immobiliari le case si vendevano quasi senza immagini. Ho avuto l’opportunità di sviluppare ciò che mi appassionava in un contesto commerciale e questo credo sia infine diventato il punto di forza.

Non sono un fotografo prestato al settore immobiliare, sono una persona cresciuta in ambiente immobiliare, che ha sentito parlare di marketing, di vendite, di affitti e di cosa i clienti preferiscono o cercano, per quali caratteristiche sono disposti a spendere e per quali no per diversi anni.

Attraverso la fotografia cerco di tradurre in immagini questo patrimonio. Prima della perfezione tecnica (a cui comunque cerco di avvicinarmi costantemente) perseguo l’efficacia.

So quali sono i dettagli di maggior valore commerciale, quali le caratteristiche che “vendono” e penso che sia questo infine il mio vantaggio.

Quando entro in una casa faccio prima un giro e cerco di capire quali siano gli aspetti che un acquirente apprezzerebbe, per esaltarli poi nelle immagini che vado a realizzare. È da lì che parte tutto, sono quelli i protagonisti del racconto che vado a tessere.

Forse non saprò controllare perfettamente il controluce o applicare la tecnica del light painting, ma conosco il mercato immobiliare, ho risposto alle telefonate di informazioni per anni e riesco a pensare e ad emozionarmi come un acquirente.

Ma soprattutto, conservo la stessa voglia di evolvermi, la stessa curiosità di sperimentare di quando ho iniziato, continuo a “pasticciare” con nuovi strumenti, faccio le mie prove e mi lancio nelle novità con una buona dose di ingenuità. Oggi sperimento il video…domani chissà.

Ps. Un doveroso ringraziamento lo devo alla società che mi ha cresciuto e che mi ha dato con fiducia l’opportunità di sviluppare il settore fotografia e comunicazione per svariati anni. Non farò il nome, ma loro lo sanno. Grazie.

Ricominciamo…!

La scorsa settimana sono potuta felicemente tornare “sul campo”, finalmente nelle case, per ascoltare e raccontare le loro “storie future”.

È stato strano, devo ammetterlo, indossare tutti i DPI i necessari, che mi fanno somigliare più ad un alieno che ad una donna, non stringere la mano ai clienti nè poter bere un caffè insieme, ma più di tutto mi è mancato il sorriso….o meglio: io sorrido sotto la mascherina ma chiaramente non si vede, e questo è ciò che mi pesa di più, perché il sorriso è per me il primo contatto per chiedere di entrare in punta di piedi nel mondo dei proprietari, proprio in quel momento delicato in cui tutti diciamo loro come dovrebbe essere la casa per attirare più clienti, quanto dovrebbe costare, come dovrebbe essere illuminata e via discorrendo. Proprio quella casa in cui hanno abitato, a cui sono affezionati e che per di più in questo periodo potrebbe essere stata la loro unica protezione dal virus.

Ho sentito che più che mai c’era bisogno di delicatezza, di un sorriso più rassicurante del solito e che purtroppo non hanno visto.

In questo momento di contatti negati allora c’è necessità anche di nuove modalità, di nuovi strumenti. Le visite agli immobili sono ancora da evitare il più possibile, eppure, gli acquirenti non mancano e bisogna dar loro modo di comprendere e visualizzare al meglio gli immobili.

Sto andando oltre la fotografia quindi, affiancandola ad altri strumenti, maggiormente immersivi:

  • il virtual tour, cercando di dettagliarlo il più possibile con tante riprese ed inserendo punti di interesse dove spiegare ulteriori dettagli
  • il video (che, confesso, sta entrando nel mio cuore tra gli strumenti preferiti) che mi permette di descrivere gli spazi mentre li percorro e contemporaneamente di presentarli in maniera emozionale grazie al giusto montaggio…uno strumento potentissimo, stimolante – anche per me – e declinabile in molte sfumature.

Se umanamente mi è mancato il contatto con le persone, operativamente invece sono pienamente soddisfatta: questa ripresa è stata super-stimolante e mi ha fatto venire ancora più voglia di non fermarmi mai, di continuare a studiare nuovi modi per comunicare, sperimentare nuovi strumenti (con risultati migliorabili, certamente), adottare nuove tecniche per arrivare sempre al mio obiettivo principale: non la perfezione, ma IL RACCONTO.

L’era del Virtual Tour

Realizzo virtual tour da un paio d’anni circa e – diciamoci la verità – non li amo particolarmente.

Finora, devo dire, mi è sembrato che nemmeno gli agenti immobiliari li amassero molto. O almeno non li hanno ritenuti di grande importanza: solo un elemento in più per aumentare il rating degli annunci sui portali immobiliari e quindi “risalire” le liste infinite di immobili in promozione. (Almeno questa era la mia sensazione).

Finora.

Già, perché un paio di mesi fa la situazione è cambiata in modo così repentino ed imprevedibile che qualcuno si è morso le mani. La quarantena forzata ci ha impedito di uscire e visitare gli immobili e se c’è uno strumento che è stato rivalutato, bhe questo è senz’altro il virtual tour. Chi li aveva già pronti e pubblicati ha in qualche modo trovato un alleato tecnologico per supplire ai mancati sopralluoghi, gli altri … probabilmente hanno esclamato un “doh!” alla Homer Simpson e si son dovuti inventare qualcosa. E magari faranno la corsa a realizzarli tutti appena sarà possibile.

Ma allora, qualcuno mi chiede, i VT sostituiranno totalmente la fotografia? Diventerà inutile scattare anche le foto agli immobili?

Io sono convinta di no e vi spiego molto velocemente perché:

la fotografia, se realizzata in modo professionale, è uno strumento EMOZIONALE. Mentre il VT è uno strumento arido da questo punto di vista: molto più tecnico. Insomma, senza voler screditare né l’uno né l’altro, bisogna riconoscere semplicemente che hanno caratteristiche e finalità diverse.

Il VT :

  • è immersivo, soprattutto se guardato con un visore;
  • dà la possibilità di capire perfettamente gli spazi addirittura potendosi muovere all’interno;
  • è totale, le riprese sono a 360° e tutto ciò che c’è si vede (quindi attenzione a come si presentano gli ambienti!);
  • è di semplice e veloce realizzazione.

Lo ritengo utile in situazioni in cui non è possibile la presenza fisica sul posto (come ora), ma anche in fase pre-appuntamento per scremare ulteriormente la lista di appartamenti da vedere – dal lato compratore, o la lista di persone da portare in visita – dal lato agente o venditore, consentendo a tutti un bel risparmio di tempo ed energia.

La fotografia invece, se realizzata in modo professionale:

  • è parziale, cioè mostra solo ciò che il fotografo vuole mostrare;
  • anche nelle fotografie più ampie (grandangolari) non arriva a coprire tutta la superficie ed è bidimensionale;
  • richiede uno studio di composizione, luce, taglio, dettagliato e sicuramente più lungo;
  • arriva a comunicare EMOZIONI, SENSAZIONI, STIMOLA L’IMMAGINAZIONE.

È chiaro quindi come siano mezzi differenti che puntano a “colpire” aspetti diversi del processo decisionale.

Il VT interviene e facilita le considerazioni più razionali: quanto è grande l’appartamento? Come è disposto? Come ci si muove all’interno? Ecc.

La fotografia va invece a stimolare la sfera più “sentimentale” della scelta: grazie allo studio di certe inquadrature, del taglio della luce, all’uso del “primo piano e degli sfocati” ecc., cioè di tutte quelle cose che nel VT non sono previste, può suggerire situazioni di utilizzo, descrivere momenti particolari e far sognare ad occhi aperti l’utente, che inizierà ad immaginare la sua vita in quel nuovo luogo.

Servono entrambi quindi?

Sì, proprio come nel processo di acquisto si procede in parte con la testa ed in parte con il cuore.

Ps: mi sembra superfluo dire, ma lo dico che è meglio, che sia che scattiate foto tradizionali, sia che facciate un VT, gli ambienti vanno preparati, riordinati, rassettati, insomma valorizzati e presentati al meglio del loro potenziale.